Referendum costituzionale: equilibri internazionali e Sardegna

7 Onniasantu 2016
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(IlMinutoQuindici n1, novembre 2016) - Sarà capitato anche a voi, durante le ultime settimane, di sentire qualcuno domandarsi per quale motivo il presidente americano Barack Obama abbia mostrato così tanto interesse nei confronti del referendum costituzionale italiano del prossimo 4 dicembre.

Questo spazio si propone come luogo di riflessione; non vogliamo infatti dare una risposta preconfezionata al quesito in questione: il nostro scopo è quello di porre sul tavolo alcuni temi sui quali riteniamo necessario riflettere, convinti come siamo che senza prenderli in considerazione non sarà possibile nessuna risposta che faccia tesoro dell'esercizio critico del pensiero.

E allora qual è la prima questione da analizzare? Il fatto che un'eventuale vittoria del Sì, troppo spesso mascherata da banale superamento del tanto declamato bicameralismo perfetto, pone, nella realtà dei fatti, il superamento di un modello di democrazia parlamentare basata sulla fiducia data al governo da Camera e Senato. La questione, che chiama in causa il cosiddetto “combinato disposto” tra l'Italicum e la Riforma costituzionale, merita tuttavia di essere sviscerata più a lungo. Vi state domandando per quale ragione? Semplicemente perché nel caso in cui vincesse il Sì verrà tolta al Senato la possibilità di dare la fiducia al governo.

D'altra parte l’Italicum assicura al partito vincitore delle elezioni una netta maggioranza alla Camera. Per l'esattezza una maggiorarnza pari al 55% dei seggi totali.

Non è certo finita qui. Volendo condurre una lettura più attenta non possiamo infatti non mettere in evidenza che grazie al meccanismo dei “capilista bloccati” circa metà del Parlamento non verrà eletta con le preferenze. Detto altrimenti, non saranno gli elettori a scegliere i parlamentari che li devono rappresentare alla Camera ma saranno i partiti a effettuare questa scelta.

Quale sarà l'estremo risultato di tutto questo? Nella sostanza sarebbe meglio parlare di un rischio. Il rischio è infatti quello di creare una Camera la cui maggioranza di rappresentanti verrà nominata dal partito al governo e non eletta dal popolo. In tal modo, con un Senato ridotto a tacere, nel caso di una vittoria del Sì – come ha fatto notare Raniero La Valle in un recente articolo pubblicato per Micromega - la fiducia al governo non sarà più un atto libero di Camere elette e rappresentative di tutto il popolo, ma diverrà un atto interno di partito, diverrà un atto dovuto per disciplina di partito, non importa se riunito al Nazareno o a Montecitorio”.

È quindi la separazione dei poteri teorizzata da Montesquieu nel suo “Spirito delle leggi” a rischiare di venire affossata. Con lei, naturalmente, si potrà per sempre dire addio al fondamento stesso sui cui poggiano le democrazie costituzionali.

Ma Obama? Non eravamo forse partiti da lui? Esattamente. Infatti questa premessa si è resa necessaria, dal momento che ci ha aiutati a delineare la cornice entro la quale verrà tolta al Senato la possibilità di dare la fiducia al governo, e insieme ad essa quella, non da poco, di deliberare lo stato di guerra.

Sì, avete capito bene: lo stato di guerra verrà deliberato solo da una Camera che rappresenterà un organismo dominato da un unico partito; questo a sua volta possiederà oltre la metà dei seggi in cui siederanno perlopiù rappresentanti eletti dal partito di maggioranza al governo e non dal popolo. Quindi la dichiarazione dello stato di guerra sarà una questione interna al partito di governo.

Nel mentre “Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i Palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra” (fonte: Micromega) . Qualcuno parla di un'imminente guerra nucleare, eppure c'è ancora chi si domanda per quale motivo il Presidente degli Stati Uniti d'America ha detto Sì alla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Qualcun'altro si chiede invece se tutto questo possa avere delle ripercussioni sulla nostra isola.

Da parte nostra vogliamo solo ricordare che la Sardegna si presenta al mondo come l'isola più militarizzata d'Europa. Al centro del Mediterraneo, essa paga il caro prezzo dell'occupazione militare italiana e della Nato con la presenza di tre poligoni che occupano un totale di 35mila ettari di territorio sottratto ai Sardi.

Fotografia di Davide Zanardo. Fonte: flickr
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