Documento: 'La sovranità e il partito italiano' (settembre 2010)

2 Ladàminis 2010

Nel mese di settembre la Nuova Sardegna ha ospitato un dibattito sul tema – ritornato di attualità o forse solo di moda - della sovranità della Sardegna, con interventi di personalità come Guido Melis e Mario Segni. Aveva proposto un suo contributo anche il portavoce nazionale di aMpI, Cristiano Sabino. Su indicazione della segretaria del direttore del principale quotidiano del Nord dell’Isola, Sabino aveva ridotto il suo intervento a 3500 battute, perché potesse “entrare in pagina”. Dopo qualche settimana di attesa l’articolo “La sovranità e il partito italiano” non è andato ancora in stampa. Censura? Forse. Sicuramente “disattenzione” per le posizioni di una organizzazione politica indipendentista e comunista, che alle ultime elezioni comunali di Sassari ha preso l’1,2 per cento. Per sua scelta editoriale, IlMinuto – testata “sovrana” e indipendente da ogni partito –  tratta la politica con articoli asciutti e essenziali, scritti in italiano e in sardo e che “vanno subito al sodo”. Per questo motivo non è stata è non è intenzione della redazione ospitare sul nostro quotidiano online tribune storico-politiche. Oggi, pubblicando l'articolo "La sovranità e il partito italiano", facciamo un’eccezione. La facciamo perché, come si può leggere nella presentazione del nostro “progetto” consultabile in home page, IlMinuto “nasce con l’ambizione di raccontare l’altra Sardegna” e di “aprire una crepa nel muro dell’informazione standardizzata”. Il muro regge e la mancata pubblicazione del testo di Sabino sulle colonne della Nuova lo dimostra. Ma noi continueremo ad aprire quella crepa. Buona lettura.

(f.o.)

L’aspetto interessante del dibattito sulla sovranità è l’uscita allo scoperto del trasversale partito italiano e delle sue ragioni, a partire dalle paure irrazionali e dalle statolatrie di politici e intellettuali.

Per esempio Guido Melis aggiunge ai giganti asiatici di Segni gli spettri della Lega e della globalizzazione, arrivando a sostenere che è inutile dare corpo a «surreali repubblichette delle banane» mentre i meccanismi decisionali sono ormai transnazionali. Melis non spiega però perché il popolo sardo non può aspirare ad un proprio Stato mentre altri popoli come quello kossovaro hanno potuto beneficiare di questo diritto grazie all’intervento armato dello Stato italiano. La differenza sta forse nel fatto che smembrare la Yugoslavia faceva comodo al capitalismo occidentale e liberare la Sardegna significherebbe privare la NATO di due poligoni militari strategici? Debole anche l’argomento della sovranità a rete, non c’è motivo infatti perché i sardi non possano partecipare all’esercizio reticolare del potere da una posizione autonoma e libera e non più a traino dell’Italia. Se poi gli stati cadono in disuso sotto i colpi della globalizzazione perché il professore democratico si impegna con passione a difendere quello italiano?

Su una cosa però concordo con lui, la maggior parte dei paladini della sovranità non sanno di che parlano. La sovranità è statuale e implica sempre «il potere di comando in ultima istanza in una società politica». Per questo motivo trovo inconsistente la posizione di chi pensa che la sovranità possa essere concessa prima dell’indipendenza o possa esercitarsi dentro l’Italia. L’alternativa si pone seccamente: o sovranità (indipendenza) o subalternità (colonialismo) e su questo bisogna fare chiarezza. Esistono molti stati indipendenti che non sono affatto sovrani o che lo sono in maniera limitata, a partire dall’Italia su questioni come religione e politica estera. La sovranità spesso arriva dopo l’indipendenza o non arriva affatto, perché la vera sovranità appartiene al popolo e non allo Stato e senza una partecipazione attiva e cosciente del popolo perfino l’indipendenza appassisce come un fiore fuori stagione. Perciò non ha senso parlare di sovranità in ambito istituzionale se contemporaneamente non si favorisce il protagonismo popolare e non mi sembra che i partiti che si accingono a discutere in Regione stiano facendo molto per suscitare il protagonismo dei sardi!

Dico questo perché una parte del partito italiano non ha timore di dichiarare esaurita la fase autonomistica (Massidda, Soddu). Il vuoto ideologico ed etico-politico di cui sono causa ed effetto le formazioni politiche italiane e le loro filiali sarde, il successo consolidato della Lega e soprattutto la crescente capacità di analisi e radicamento degli indipendentisti ha provocato il sorgere di un neo sardismo di superficie che arriva a riconosce lo status di nazione ai sardi e a prospettare pari dignità istituzionale tra Stato e Regione. Peccato che si tratti solo di concessioni retoriche. Sostenere che l’«autonomia è finita e che bisogna aprire una nuova fase dei rapporti con le istituzioni italiane» [Salvatore Cubeddu, Camineras, 2010] significa ammettere la bancarotta dei partiti italiani che su quell’autonomia avevano riposto le loro basi. Come si fa a parlare di sovranità e indipendenza continuando ad occupare le comode poltroncine delle coalizioni unioniste e a fare gli interessi dei blocchi economici che hanno sfruttato e svenduto la Sardegna? Chi dovrebbe condurre una fase costituente dei sardi? Non certo gli stessi gruppi di potere fautori della Chimica, delle partecipazioni statali, i nemici della lingua e della cultura sarda e gli ex assertori della centralità operaia che ignoravano o disprezzavano le lotte e i codici dei pastori! Chi dovrebbe affrontare il dibattito sull’indipendenza? Gli stessi che hanno fatto della subalternità e della dipendenza la ragion sufficiente della loro carriera? Credo che sia arrivato il momento di fare chiarezza, di rompere con i mediatori del colonialismo e di proporre alle forze sane della nazione sarda un’alternativa di sistema.

Cristiano Sabino - portavoce nazionale di aMpI

© RIPRODUZIONE RISERVATA