Referendum costituzionale e indipendentismo: sì, no o astensione?

7 Onniasantu 2016
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(IlMinutoQuindici n1, novembre 2016) - Come tutte le Nazioni senza Stato presenti in Italia, anche la Sardegna subisce la costituzionalizzazione del principio unitario e di quello di indivisibilità, ragion per cui è chiamata a dire Sì o No al referendum costituzionale che si terrà il 4 dicembre 2016 e che vedrà i cittadini votare la riforma proposta dalla ministra del governo Renzi Maria Elena Boschi.

La battaglia tra il Sì e il No è una battaglia trasversale e chiama in causa tutti gli schieramenti politici e ideologici, indipendentisti compresi. I difensori delle Nazioni senza Stato, nonostante non si sentano rappresentati dalla carta costituzionale italiana, saranno costretti a prendere una posizione in merito.

Infatti, se il combinato disposto riforma costituzionale-Italicum dovesse passare l'approvazione dei cittadini, assisteremo a un accentramento del potere nella mani del governo italiano. Ed è davanti a questa ipotesi che ci chiediamo quali saranno le ripercussioni sull'isola e quale lettura ne danno le diverse organizzazioni indipendentiste sarde. Prima di analizzarle facciamo qualche passo indietro per ricordare il testo del quesito a cui i cittadini saranno chiamati a rispondere: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione?”

Sul fronte del No gli indipendentisti di LIBE.R.U, che in una nota stampa diffusa lo scorso 26 luglio invitano “tutto il popolo sardo ad andare in massa a votare No al Referendum costituzionale”, di modo da bloccare una “riforma antidemocratica e nemica del diritto all’autogoverno del popolo sardo”. Il partito guidato da Pier Franco Devias mette l'accento sulla limitata rappresentatività al Senato sottolineando che “ad eleggere i senatori non sarebbero più [...] i cittadini ma i consiglieri regionali tramite accordi di palazzo e spartizioni all’italiana”.

Tra gli oppositori alla riforma anche Claudia Zuncheddu, che lo scorso 12 agosto, dalle pagine dell'Unione Sarda ha reso nota la sua posizione affermando che è necessario appoggiare il No per contrastare la deriva autoritaria dello Stato italiano che vuole accentrare il potere a Roma, creando ulteriori danni alla sovranità sarda. Come per LIBE.R.U, anche per la segretaria di Sardigna Libera, con l’abolizione del Senato si perpetrerà un'ulteriore inganno ai danni della Sardegna, che perderà rappresentanze (i Senatori passeranno da 8 a 3 ndr) proprio laddove si dovrebbe decidere anche del futuro dei Sardi; tutto con la scusa dei tagli ai costi della politica.

Se dovesse passare il Sì, l'elezione dei Senatori spetterà infatti al consiglio regionale, che dovrà eleggere un senatore tra i sindaci dei comuni della regione. Ci saranno quindi 21 senatori-sindaci. In occasione del rinnovo del consiglio regionale, i rimanenti verranno eletti con metodo proporzionale dai singoli consigli regionali e tra i loro componenti. Vero è che per quanto riguarda il “caso” della Regione Autonoma della Sardegna non possiamo non tener conto di quanto sottolineato da Andrea Pubusa, docente di diritto amministrativo dell'Università degli Studi di Cagliari, che nelle pagine di “Democrazia Oggi” del 2 novembre scorso precisa che “l’art. 17 cpv. dello Statuto sardo dispone che “l’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere o di un altro Consiglio regionale o di un sindaco di un Comune con popolazione superiore a diecimila abitanti, ovvero di membro del Parlamento europeo”.

Per il No anche il Fronte Indipendentista Unidu. Con un documento del 31 ottobre scorso l'organizzazione indipendentista sottolinea il “principale risvolto politico” del referendum, quello di “affidare la ricontrattazione dello Statuto ad intese e trattative dove la rappresentanza della Sardegna è nelle mani di un soggetto che a più riprese nella sua storia ha parlato di cessioni di sovranità e competenze, in luogo di autonomia e indipendenza, di accentramento in organismi sovranazionali, di eserciti e fiscalità comuni, di Stati Uniti d'Europa e istituzioni ispirate a quelle statunitensi”.

Ma non è finita qui. C'è anche la revisione del Titolo V, a cui si riferisce il testo della riforma Boschi e che tanto preoccupa gli indipendentisti di Sardigna Libera, di LIBE.R.U e del Fronte Indipendentista Unidu. Se, infatti, detta revisione non verrà applicata direttamente alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Bolzano e Trento, la sua mancata applicazione sarà valida solo fino a quando gli statuti speciali non saranno rivisti. Da qui il timore per una pesante perdita di competenze della Sardegna, sulla quale incomberebbe anche lo spettro della “clausola di supremazia”, che consente alla legge dello Stato italiano, dietro proposta del Governo, l'intervento in materie non riservate alla legislazione esclusiva, allorquando questo venga richiesto dalla tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica stessa, ossia dalla tutela dell'interesse nazionale.

Di diverso avviso gli indipendentisti di Sardigna Natzione Indipendéntzia. La storica organizzazione guidata da Bustianu Cumpostu è infatti promotrice del comitato “Non voto Italia”.

Per il comitato disertare le urne equivale a rifiutare l'unità e l'indivisibilità della Repubblica italiana, perché, sia che si voti per l'attuale Costituzione, sia che si voti per quella riformata non cambierà la “situazione di sudditanza” in cui versa l'isola. Pertanto, secondo il portavoce Bustianu Cumpostu, nel caso in cui più della metà dei votanti della Sardegna si astenesse dal voto al Referendum costituzionale questo sarà un chiaro segno indipendentista.

Sulla questione rimangono invece ancora in silenzio gli indipendentisti di ProgReS - Progetu Repùblica, mentre il PSd'Az e i sovranisti di iRS e PdS si sono espressi sostenendo il No.
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