L’uomo delle Caffettiere – Intervista al pittore Salvatore Atzeni
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(IlMinuto) – Cagliari, 21 gennaio – Salvatore Atzeni, settantaduenne pittore e musicista di Monastir, ha studiato al Liceo Artistico e, successivamente, al Conservatorio di Cagliari, specializzandosi in chitarra classica. È Direttore artistico del Festival de "La Chouette" a Digione e de "L'Incontro Artistico" nel Castello di Bersaillin.
Maestro, a Dicembre ha esposto a Monastir, come in un racconto della sua vita, dagli anni ’70 in poi, quando si manteneva facendo ritratti per strada. Anche questa è stata una scuola per lei?
Altroché! Giravo l’Europa in autostop; a Parigi mi fermavo in Place de Tertre e facevo ritratti per mantenermi, cosa che oggi è impossibile; hanno posto dei bullini in ottone e in ciascuno c’è un pittore. Tutti gli altri si ritrovano fuggiaschi nelle viuzze laterali a fare ritratti per mantenersi.
Lei è famoso anche per le sue opere a tema religioso. Come si è avvicinato a questo genere?Finiti gli studi ho iniziato a viaggiare e ho scoperto che la Francia è il Paese delle Cattedrali gotiche e, con la penna d’oca, l’inchiostro di china e il caffè ne ho disegnate tantissime. Quando ho vinto il primo premio della Mostra estemporanea di Bonaria, Padre Luigi Belfiori mi chiese di fare un quadro che rappresentasse la scena di quando Paolo VI venne preso a sassate a Sant’Elia. Poi decisi di realizzare dieci tele sui martiri; una si trova nella Cattedrale di San Martino a Candre e rappresenta il Santo che porge il mantello al poveretto, mentre a Pescara ho esposto la morte di San Martino. Qui in Sardegna è possibile vederle a Monastir, Sanluri, Orroli e San Sperate.
Mi parli delle sue “Caffettiere”
Ho sempre fatto le caffettiere solo in bianco e nero, con inchiostro di china e poi ombreggiate. Da geometriche, via via sono evolute e sono diventate barocche, conservando però gli aspetti che fanno capire che si tratta di una caffettiera: il becco, il manico e il coperchio. Quando ho scoperto che i francesi, per dire che uno ha la zucca vuota, dicono “Testa di caffettiera”, li ho trasformati in prepuzi. Io faccio quattro-cinque caffè molto ristretti e li lascio invecchiare una ventina di giorni, poi ho scoperto che trattando il caffè con il blu di prussia si può ottenere una gamma di verdi che non esistono nei colori in vendita.
Bernard Cabiron ha detto “Le opere di Salvatore Atzeni elevano lo spirito”. Come si sente rispetto a questa descrizione?
L’ha detto per la bontà delle mie opere. Ricordo che il Direttore dell’Indépendant de Midi Libre di Narbonne, nel presentarmelo, mi disse “Se questo scrive male di te, non devi più fare mostre qui”.
Ci sono in giro dei pittori promettenti secondo lei?
Sì, ma sono delle mosche bianche. Oggi usano chiamarsi performers quelli che disegnano sui muri. Purtroppo le direzioni di questi cenacoli d’arte non sono più assegnate con concorsi selettivi ma si muovono solo per clientelarismo e politica, dalla Galleria Comunale di Cagliari per finire quelle di maggior spolvero. Il termine arte è stato coniato dal Vasari nel ‘500 ed era sinonimo di bellezza. Tutti possono definirsi artisti, ma quando una cosa è brutta, è brutta e quindi non è arte. Quando uno si è nutrito delle opere di Midone, Prassipede e Lisipo come fa ad apprezzare questa che chiamano arte contemporanea? Prendiamo la “decontestualizzazione dell’oggetto”: Se tu prendi una tazza e la metti dentro una teca alla Biennale di Venezia, viene assurta ad opera d’arte, perché viene decontestualizzata, cioè perde la sua identità oggettiva di tazza, ma per me in qualunque posto la si metta resta sempre una tazza. Ad ogni modo, bisogna saper separare il bello dal brutto, sempre.
Le faccio una domanda banale alla quale sono certa mi darà una risposta geniale. Cos’è per lei l’arte?
L’arte è la massima espressione dell’uomo, che deve essere sostenuta da un’evidente capacità.
T.S.
Maestro, a Dicembre ha esposto a Monastir, come in un racconto della sua vita, dagli anni ’70 in poi, quando si manteneva facendo ritratti per strada. Anche questa è stata una scuola per lei?
Altroché! Giravo l’Europa in autostop; a Parigi mi fermavo in Place de Tertre e facevo ritratti per mantenermi, cosa che oggi è impossibile; hanno posto dei bullini in ottone e in ciascuno c’è un pittore. Tutti gli altri si ritrovano fuggiaschi nelle viuzze laterali a fare ritratti per mantenersi.
Lei è famoso anche per le sue opere a tema religioso. Come si è avvicinato a questo genere?Finiti gli studi ho iniziato a viaggiare e ho scoperto che la Francia è il Paese delle Cattedrali gotiche e, con la penna d’oca, l’inchiostro di china e il caffè ne ho disegnate tantissime. Quando ho vinto il primo premio della Mostra estemporanea di Bonaria, Padre Luigi Belfiori mi chiese di fare un quadro che rappresentasse la scena di quando Paolo VI venne preso a sassate a Sant’Elia. Poi decisi di realizzare dieci tele sui martiri; una si trova nella Cattedrale di San Martino a Candre e rappresenta il Santo che porge il mantello al poveretto, mentre a Pescara ho esposto la morte di San Martino. Qui in Sardegna è possibile vederle a Monastir, Sanluri, Orroli e San Sperate.
Mi parli delle sue “Caffettiere”
Ho sempre fatto le caffettiere solo in bianco e nero, con inchiostro di china e poi ombreggiate. Da geometriche, via via sono evolute e sono diventate barocche, conservando però gli aspetti che fanno capire che si tratta di una caffettiera: il becco, il manico e il coperchio. Quando ho scoperto che i francesi, per dire che uno ha la zucca vuota, dicono “Testa di caffettiera”, li ho trasformati in prepuzi. Io faccio quattro-cinque caffè molto ristretti e li lascio invecchiare una ventina di giorni, poi ho scoperto che trattando il caffè con il blu di prussia si può ottenere una gamma di verdi che non esistono nei colori in vendita.
Bernard Cabiron ha detto “Le opere di Salvatore Atzeni elevano lo spirito”. Come si sente rispetto a questa descrizione?
L’ha detto per la bontà delle mie opere. Ricordo che il Direttore dell’Indépendant de Midi Libre di Narbonne, nel presentarmelo, mi disse “Se questo scrive male di te, non devi più fare mostre qui”.
Ci sono in giro dei pittori promettenti secondo lei?
Sì, ma sono delle mosche bianche. Oggi usano chiamarsi performers quelli che disegnano sui muri. Purtroppo le direzioni di questi cenacoli d’arte non sono più assegnate con concorsi selettivi ma si muovono solo per clientelarismo e politica, dalla Galleria Comunale di Cagliari per finire quelle di maggior spolvero. Il termine arte è stato coniato dal Vasari nel ‘500 ed era sinonimo di bellezza. Tutti possono definirsi artisti, ma quando una cosa è brutta, è brutta e quindi non è arte. Quando uno si è nutrito delle opere di Midone, Prassipede e Lisipo come fa ad apprezzare questa che chiamano arte contemporanea? Prendiamo la “decontestualizzazione dell’oggetto”: Se tu prendi una tazza e la metti dentro una teca alla Biennale di Venezia, viene assurta ad opera d’arte, perché viene decontestualizzata, cioè perde la sua identità oggettiva di tazza, ma per me in qualunque posto la si metta resta sempre una tazza. Ad ogni modo, bisogna saper separare il bello dal brutto, sempre.
Le faccio una domanda banale alla quale sono certa mi darà una risposta geniale. Cos’è per lei l’arte?
L’arte è la massima espressione dell’uomo, che deve essere sostenuta da un’evidente capacità.
T.S.
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