Voce e musica nelle fotografie di Giuseppe Tamponi

Un'intervista al fotografo oristanese
25 Arbili 2023
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Le sue fotografie hanno voce e musica. Abbiamo deciso di parlarne con lui per capire cosa muove la sua arte. Un'intervista da leggere tutta d'un fiato e che non ha bisogno di presentazioni.

Giuseppe Tamponi e la fotografia: ci racconta questa storia?

Ho sempre avuto una propensione per l’immagine registrata, già da quando, in occasione della cresima, mi venne regalata un cinepresa 8mm e un proiettore coi quali ho cominciato a riprendere il mondo che mi circondava. Poi un amico mi prestò una reflex con la quale scattai le prime foto a mia figlia, (si parla del 78/79). Ma la vera svolta fu quando cominciai a lavorare (nei primi anni 80) e un mio collega, appassionato di fotografia, mi convinse ad acquistare la mia prima fotocamera, una Zenit E, fotocamera sovietica econimicissima, definita un carrettone come corpo macchina ma fornita di ottiche Pentacon di buona
qualità. Da allora non mi sono più fermato, a quei tempi non si facevano i corsi base, si compravano molte riviste di tecnica fotografica, ci si confrontava nel mitico negozio “Hobby Foto” di Dario Figus (ancora attivo) con altri fotoamatori su tecniche, materiali e sistemi.

Poco dopo l’acquisto della prima fotocamera acquistai anche il mio primo ingranditore, sempre sovietico e sempre economico e mi allestii la prima camera oscura, cominciando a svilupparmi e stamparmi i rullini in bianco e nero. Avevo una sete di conoscere e imparare senza limiti, divoravo riviste come “Reflex”, “Fotografare”, “Progresso fotografico” e tutto ciò che mi capitava tra le mani, sentivo già l’esigenza di esprimermi attraverso la fotografia utilizzando la fotocamera come mezzo e non come fine, convincendomi sempre di più che la sostanza (cioè quello che si riesce a trasmettere con un’immagine) conti molto di più della
forma (nitidezza, perfezione, qualità estrema ecc.) che, in assenza di sostanza, diventa uno sterile esercizio di produzione di immagini eccezionali esteticamente, ma banali.

Poi ho cominciato ad affinare le mie attrezzature con fotocamere più professionali (ha lavorato per tanti anni con tre corpi Olympus e relative ottiche), ho sperimentato la stampa delle diapositive (Cibachrome) quando quella che mi restituivano i laboratori non mi soddisfaceva, ho praticato anche lo sviluppo delle
diapositive (processo E6) mentre non ho mai pensato allo sviluppo e alla stampa delle pellicole negative a colori, perché erano materiali che utilizzavo poco e richiedevano attrezzature molto più costose che non avrei mai sfruttato appieno. Mi sono attrezzato con una camera oscura più professionale e, alla fine, mi sono concentrato soprattutto sul bianco e nero.

Ho sperimentato un po’ tutti i generi fotografici per poi scegliere quelli da me preferiti, il ritratto, il reportage, le fotografie di concerti e, quando mi riesce, la fotografia concettuale. Un’altra tappa è stato il passaggio al sistema autofocus e di seguito all’attuale: la fotografia digitale. Non ho mai seguito corsi di fotografia, sono sempre stato un autodidatta.


Di recente ha avuto diversi riconoscimenti: esattamente in 5 sezioni su 5 nel Photo Contest - ACI Pistoia. C'è uno scatto in particolare a cui lei si sente più legato?

Ho ricominciato da poco a partecipare concorsi fotografici (in passato ne ho vinti tanti) , ottenendo anche qualche successo a livello nazionale (anche se preferirei le mostre). Sicuramente mi piacciono le sfide difficili e i concorsi seri e quindi non partecipo a “concorsucoli” locali organizzati molto spesso da chi di fotografia non capisce nulla e, ancora peggio, giudicati da giudici onorari messi li a giudicare solo in funzione della loro carica sociale a prescindere dalla loro competenza in campo fotografico e artistico. Ne consegue che emergere in concorsi importanti, a livello nazionale, dove il livello dei partecipanti e
quello qualitativo sono molto più alti, è chiaramente molto più difficile ma da però una buona soddisfazione nel caso si ricevano dei riconoscimenti.

Nello specifico, il concorso dell’ACI Pistoia non è stato un gran successo, ho passato una prima selezione con un 5 su 5 che lasciava sperare che almeno una di queste immagini accedesse alla seconda selezione, Top 300 (poi veniva la Top 20 e si sarebbe stati già in odore di premio), cosa che però non si è verificata.
Se poi devo scegliere una delle 5 immagini non ho dubbi, scelgo quella dell’amico Luciano col Pinocchio, che purtroppo ci ha lasciato qualche giorno fa.
Per questo concorso ci vuole ancora qualcosa in più, ma non demordo, vedremo il prossimo anno.

Se dicessi "fotografia è memoria" cosa mi risponderebbe?

Sicuramente si, è una delle tante proprietà dell’immagine fotografica!

Se pensiamo alla nostra storia, agli avvenimenti tragici, felici, importanti che l’hanno caratterizzata, ma anche alle foto scattate alle feste di compleanno, cos’è che ci fa rivivere in prima persona quelle situazioni, quelle atmosfere, quelle sensazioni che la sola narrazione scritta non sarebbe sufficiente a farci
rivivere così intensamente.

D’altronde la storia remota, quando ancora non esisteva la fotografia, veniva raccontata con illustrazioni. In questo senso ho raccontato la storia della mia famiglia per immagini, recuperando tante vecchie fotografie (che, fortunatamente, non mi mancavano) scansionandole e riunendole in un libro fotografico
che custodisco gelosamente. Ho realizzato un libro fotografico dei primi quattro anni di mia nipote (esattamente dal giorno della nascita).

Ho realizzato un libro sull’Ardia di Sedilo con immagini scattate nell’arco di 23 anni con testi in italiano, inglese e sardo... son tutte immagini legate alla memoria!

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Fotografare la musica sembrerebbe impossibile ma lei ci riesce benissimo. C'è un legame particolare tra Giuseppe Tamponi e il mondo della musica?

Qui torniamo nuovamente alla mia adolescenza quando, attorno agli anni 68-69, in semioscurità, su un vecchio giradischi, mi ascoltavo per circa 10 volte di seguito brani come Jumping Jack Flash dei Rolling Stones e altri epici brani (Beatles) dell’allora epoca Beat. Non ostante fossi ancora adolescente (14-15 anni) ero completamente coinvolto in quell’atmosfera che mi dava un senso di libertà dall’atmosfera conservatrice e post fascista che respiravo in casa dei miei
genitori, naturalmente nostalgici ma brave persone. Poi vennero i musicisti tipo Deep Purple, Pink Floyd, Led Zeppelin, Jethro Tull, PFM, Battisti, New
Trolls, Dalla, De Gregori...tutto quell’universo irripetibile di musicisti che hanno fatto la storia della musica e della mia vita e che ancora ascolto con piacere.

Ho cominciato a fotografare la musica con questa formazione di base, cercando di evidenziare prima di tutto la carica emozionale dello stesso artista, il suo sentire intimamente la musica che interpreta evitando di realizzare una semplice figurina “Panini”. Non so se ci sono riuscito ma, da quel che mi dicono, qualche risultato sembra che lo abbia raggiunto. Soprattutto nel Jazz ci sono generi che non mi coinvolgono particolarmente, ma questo passa in secondo piano rispetto al “pathos” che il musicista crea.

L’anno scorso un mio lavoro sulla musica intitolato “Omofonie silenziose” è stato selezionato per una mostra presso la “Fondazione Malerba per la Fotografia” di Milano, il testo di presentazione recita: “Omofonia: Un suono omofono è un suono che assume un nome ed una rappresentazione grafica differente (indipendentemente dalla durata dello stesso) rispetto ad un altro suono, ma che in realtà rappresenta lo stesso suono. Ad esempio LA# è un suono omofono a SIb, oppure FA è un suono omofono rispetto a SOLbb. Con riferimento a immagini fotografiche e, di conseguenza, in assenza di suono (silenziose), l’intento è di
evidenziare la loro equivalenza, non solo come immagini in bianco e nero ma anche come emozionalità delle stesse, sia quella espressa dagli artisti rappresentati che quella percepita dai fruitori delle fotografie”.

Il bianco e nero come scelta espressiva spesso la contraddistingue. Esiste un motivo particolare?

Non c’è un genere che prevale in assoluto sull’altro, sono due metodi comunicativi distinti, ognuno sceglie quello che più gli si addice.

Io riesco ad esprimermi meglio col bianco e nero, non riuscirei, per esempio, a raccontare l’Ardia di Sedilo a colori, la vedo in bianco e nero! Poi, magari, qualcuno ci fa un bel lavoro a colori, io non ci riuscirei.

Idem per quanto riguarda il genere musicale, a parte il fatto che, a colori, spesso e volentieri si evidenzierebbero sgradevoli dominanti di colore, generate da riflettori maldestramente manovrati da tecnici delle luci improvvisati (ma che costano poco, problema costante per i fotografi di concerti), luci che distrarrebbero da quella che vuol essere la sostanza dell’immagine, le mie immagini musicali e il loro pathos, per me, sono possibili solo in bianco e nero.

Il colore, per contro, andrebbe evidenziato dove veramente c’è e va valorizzato per quel tipo di racconto, per esempio le immagini della Sartiglia le realizzerei a colori…peccato che la manifestazione non mi piace!

Gli organizzatori di Dromos, in occasione del ventennale della manifestazione stanno tentando di organizzare una mostra fotografica storica con le mie immagini e quelle di altri due fotografi. Saprò più in la se la cosa è andata in porto.

 

F.P.

 

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