Documento: Quando la lotta di classe viene abbandonata in funzione del centrosinistra

28 Novembre 2012
Analisi di FalceMartello

Non è passato molto tempo da quando la rabbia degli operai del Sulcis ha prodotto la cinematografica fuga di due ministri in elicottero. Ma quel passaggio, che segna un'ulteriore sviluppo nella determinazione di chi lotta per il proprio futuro, non è ben chiaro al gruppo dirigente di Rifondazione in Sardegna.

Nel giro di pochi giorni i compagni hanno potuto vedere su internet due documenti che che mostrano tutta una serie di limiti che, se perduranti, possono compromettere ulteriormente il quanto mai necessario radicamento nel conflitto. Il primo è un comunicato stampa relativo all'assemblea degli iscritti del partito sulcitano, il secondo è un'appello firmato (tra gli altri) dall'ex segretario regionale sardo Sandro Valentini, da quello attuale Alessandro Serra, dal responsabile regionale enti locali Vittorio Macrì e dai segretari federali Giovannino Deriu (Cagliari) e Fabio Desogus (Sulcis), nonchè da Luigi Vinci, a lungo europarlamentare.

Sulcis: il conflitto di classe e il partito

Qui vediamo la contraddizione stridente tra l'audacia dei lavoratori Alcoa e la posizione ultra-arretrata del gruppo dirigente del partito in un contesto di crisi industriale senza eguali. Si continua a non mettere in discussione la sacralità della proprietà privata dei mezzi di produzione e di conseguenza, a non entrare nell'ottica delle produzioni affrancate dalla logica del mercato. I nostri pezzi precedenti parlano di un'assenza di proposte come la nazionalizzazione sotto il contro operaio e senza indennizzo. Le motivazioni di tale rivendicazione stanno nelle più semplici argomentazioni proletarie: sono i lavoratori che producono la ricchezza, sono i padroni che se ne appropriano insieme ai contributi statali e agli sgravi fiscali fin'ora incassati. Cos'altro per dimostrare che la fabbrica è di chi ci lavora? Ma nulla di tutto questo: nel comunicato firmato dal compagno Desogus si arriva a definire il Piano Sulcis (ovvero quanto offerto dai ministri prima della fuga in elicottero) “un importante strumento per la pianificazione di uno sviluppo differente del territorio, integrato con quello industriale, aperto ad altre tipologie di attività”. Uno strumento (451 milioni di euro) nelle mani di chi e finalizzato a cosa? D'altronde poche righe dopo si legge “fino a quando (Alcoa, Ndr) rimarrà arbitro e giudice di qualsiasi trattativa per la cessione dello stabilimento, questo difficilmente vedrà nuova vita; così come è rimasta insoluta la garanzia degli ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori indiretti delle imprese di appalto che operavano in Alcoa”. Ecco che allora senza una nazionalizzazione di Portovesme (così come senza nessun controllo pubblico del credito) nessun Piano Sulcis può dare le risposte che il territorio (lavoratori e ambiente) chiede. E ha poco senso attaccare quei “massimi vertici regionali del sindacato, che come corvi attorno ad un territorio già morto, altro non hanno fatto se non far salire la tensione tra gli operai, con dichiarazioni pregiudizialmente negative sull’esito dell’incontro annunciando probabili fallimenti”. I vertici sindacali vanno attaccati per le illusioni sparse su possibili nuovi acquirenti e per aver messo i bastoni fra le ruote alla riscossa operaia che si stava incamminando nella direzione della nazionalizzazione. Quella che viene definita “degenerazione della lotta” altro non è che un moto d'orgoglio di chi è stanco delle posizioni vacillanti del sindacato e dei silenzi della sinistra politica (noi compresi).

La lettera aperta di Valentini, Serra e altri

Ma la real-politik delle primarie ha fatto si che si producesse ulteriore documentazione! Nonostante l'esito di queste elezioni abbia visto primeggiare chi “non gliene può fregar de meno dell'articolo 18” e chi l'ha distrutto sostenendo questo governo, i firmatari di questo appello lavorano solertemente per ributtare Rifondazione nelle braccia del centrosinistra. È un appello nazionale, ma la geografia delle firme non può non far emergere un filo rosso (sbiadito) tra questo “ampio respiro” proposto e l'arretratezza della direzione locale. E, stando al primo, si parte da un’analisi della crisi alla quale contrapporre la necessità di un “nuovo interventismo pubblico teso sia a rianimare la crescita economica sia a rafforzare le protezioni sociali, ridimensionando la finanza con politiche che regolamentino l’attività del sistema finanziario al fine di ricondurlo alla sua funzione di servizio all’economia reale”. Tuttavia la limitata risposta ci dice che anche l'analisi lo è e, infatti, non si esce dall'artificiale separazione tra finanza ed economia reale e dalle soluzioni di tipo keynesiano. Se siamo tutti d'accordo che questa è una crisi di sovrapproduzione e che ad essa si lega la caduta tendenziale del saggio di profitto, non possiamo considerare la finanza come una variabile indipendente, slegata dal ciclo economico, e pensare che basti una regolamentazione per fermarne le scorribande. Si rimane quindi nell'ottica delle politiche redistributive lasciando invariati i meccanismi del sistema capitalista. Figuriamoci indirizzare la protesta all’esproprio di Alcoa... E non si va oltre quella che può essere considerata (pur se non espressamente citata in tal modo) un'Europa sociale di bertinottiana memoria. Ignari del fatto che siano assenti i margini per politiche simili, i nostri, presi da un grande senso di responsabilità vorrebbero ingaggiare Rifondazione in questo gioco al massacro levandola dal terreno sul quale invece dovrebbe agire. Non siamo alla distinzione tra tattica e strategia che continuamente viene citata per rassicurare sulla bontà dei comunisti e sul loro obiettivo finale mai dimenticato. Qui siamo in presenza di un'orizzonte strategico riformista (guardando addirittura ad Obama!!!) nel quadro della peggiore crisi del capitalismo. Pare che i tempi non siano mai maturi per dispiegare le nostre ragioni (ammesso che se ne disponga)...

Centrosinistra mon amour

Quando Valentini uscì con altri con le sue “famose” quattro tesi (anche lì partendo dall'Europa per poi arrivare al Pd) il compagno Serra rispose con un lungo pezzo racchiuso nell'esclamazione “almeno fa discutere!”. Una condivisione totale di quella «cultura politica» , condita da una differenza su un aspetto: prima unire la sinistra e poi contrattare meglio. Pardon, “avviare il confronto programmatico con il Pd”. Successivamente una Federazione della sinistra che andava via via lacerandosi dava l'input per degli strali pubblicati su facebook dal nostro segretario regionale contro il “settario” Ferrero: “Il partito sardo, ha già discusso nella sua segreteria regionale la deriva isolazionista a cui questo gruppo dirigente nazionale ci vuole condannare! […] Se c'è chi pensa che il partito sardo sia una un portatore d'acqua o il manovale per un progetto politico non da noi condiviso, sbaglia e dovrà cominciare a fare un po' di biglietti aerei per farsi la prossima campagna elettorale”.

Successivamente a questa prosa d'acciaio il Comitato politico regionale nella sua maggioranza degli interventi respinse il tutto facendo produrre delle conclusioni al compagno Serra che sono state così riassunte: «Va bene, oggi non possiamo fare altro che percorrere questa scelta obbligata (la collocazione alternativa al Pd, Ndr), ma se avessimo avviato il confronto programmatico a suo tempo...». E oggi si ritorna all'ovile con questa lettera aperta col fine di “concorrere ad un successo elettorale del centrosinistra in Italia”. D'altronde la sua “piattaforma d’intenti attuale è incoraggiante, anche se ancora insufficiente”. Ecco quindi che si scopre che noi non abbiamo le forze per intervenire nella lotta Alcoa (neanche per fare i pompieri) ma abbiamo quelle che porteranno alla sufficienza la carta d'intenti! E per farlo dobbiamo essere come il Pdci poiché una nostra “eccessiva rigidità rischia di causare la disgregazione definitiva della Federazione della Sinistra e con essa il tramonto di fatto dello stesso Prc”!

Compagne e compagni del Prc sardo, il partito si avvierà al suo tramonto se questa linea politica non verrà rovesciata una volta per tutte. Approfittiamo quindi ben volentieri di sfruttare il tutto per lanciare noi un appello, la cui musica è scandita dalla determinazione dei lavoratori Alcoa e dell'Ilva che, in queste ore, stanno dimostrando la stessa energia che è richiesta a una forza che vuole trasformare la società!

M.P.
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