Amore e Carne: Pippo Delbono alla "Notte dei Poeti"

23 Luglio 2011
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(IlMinuto) – Cagliari, 23 luglio - "Questo concerto è il mio incontro con il violino. Il violino che suonava mio padre alla sera quando tornava da lavorare. Il violino che un giorno ha venduto. Il violino che non ho sentito più suonare. Il violino che appartiene ad un presunto legame familiare che tengo con Nicolò Paganini. Il violinista del demonio. Quando ho ascoltato Alexander Balanescu suonare il violino ho sentito in lui quelle note che uscivano come urli dell’anima. Ho risentito quelle note che non mi facevano dormire la notte da piccolo. E ho sentito in lui il canto di altre vite, di esili, di fierezze di un popolo, il canto di una terra bella e amara: la Romania. La voce e il violino si sono avvicinate mischiandosi con le parole di Pasolini, di Rimbaud, di Whitman, di Eliot, per cercare di trovare quei fili segreti, magici forse, che uniscono le persone, le storie, al di là delle differenze, al di là delle nazioni, della lingua, al di là dell’essere ancora qui vivi, al di là dell’essere già partiti. Chissà, forse la musica è quel racconto segreto che unisce, e dà armonia alle cose". Lascia attoniti e commossi Pippo Delbono, uomo di teatro e di viaggi: quando nella serata di giovedì calca il palcoscenico, per la prima volta in terra sarda, perla preziosa de “La notte dei poeti” con il suo “Amore e carne”, quando racconta sulla terrazza del bastione San Remy il suo “Dopo la battaglia – Scritti poetico politici” edito da Barbès, raccolta dei suoi scritti, in gran parte apparsi su quotidiani e riviste italiani e francesi dal 2004, sguardo lucido sull’Italia, sul teatro, la televisione e la cultura. Racconta mettendo in primo piano il suo corpo- quello agile, da perfetto allievo di Pina Bausch, quello sofferto dei suoi attori provenienti da contesti in cui la vita si ferma (Bobo, su tutti, sordomuto, per decenni rinchiuso nel manicomio di Aversa), attraversato dalla voce e da un’immensa vitalità. Dopo la battaglia è una tappa del suo percorso umano e sembra una transizione che parte con una valigia strapiena di esperienze del passato, anche recente. Sembra un trasloco, più che un viaggio. Ma verso dove ancora bene non si sa. C’è la prigione, la galera, la gabbia, c’è il manicomio e la follia, c’è la fame, la violenza, l’ego dei politici, il vuoto delle parole che slegate dalla vita non hanno più senso di essere. E c’è il grande teatro di Pippo, quello che non fa sentire la mancanza di nulla e ti fa piangere e ringraziare la vita. Dopo averci educato per anni la vista dinnanzi ai suoi suggestivi quadri di natura viva, Pippo Delbono ha intrapreso un’indagine approfondita sulla musica e sulla musicalità della sua voce in accordo con quella strumentale del violino, nella esecuzione perfetta del maestro rumeno Alexander Balanescu, nell’unisono che svela una forte intimità che quasi intimidisce per l’assonanza. Ormai ciechi ma sordi meno che mai, nel doppiaggio di Pippo - che legge Rimbaud e Eliot, Whitman e Pasolini - all’amplificazione del violino di Balanescu, esule dalla terra romena con la madre, fino a un richiamo alle Madri feroci che ci hanno detto: sopravvivete, pensate solo a voi. Alla sete del mondo, all’amore. All’oppressione dell’uomo. Ad una nuova libertà della mente e del corpo: l’amore e la carne.

V. V.
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