Gli insegnati dicono no all'"addestramento" sull'inno di Mameli

14 Novembre 2012
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(IlMinuto) – Cagliari, 14 novembre – Negli ultimi giorni un no deciso fa il giro del web. E' il no degli insegnanti all'"addestramento" sull'inno di Mameli, a ribadire che la scuola non ha bisogno dell'Inno e non ha bisogno di retorica totalitaria. La scuola necessita invece di strutture, di strumenti e di professori. Gli stessi che da anni occupano le prime pagine dei giornali reclamando non solo lavoro ma anche cultura. Così la voce della protesta asserisce con fermezza: "Noi insegnanti sardi ogni 17 marzo faremo disobbedienza civile e daremo mandato a chi ne ha competenza, di indire uno sciopero generale della scuola. Nel frattempo chiediamo anche alle autorità regionali di contrastare in tutte le sedi istituzionali questa legge, esattamente come ha fatto l’Alto Adige. Chiediamo a tutti i colleghi di fare girare e sottoscrivere questo appello". Per l'adesione scrivere a: no.innoascuola@gmail.org indicando nome, cognome, classe di insegnamento e scuola.

Petizione:

Al Ministero della Pubblica Istruzione

Ai Consigli Scolastici Provinciali della Sardegna

A tutti i Dirigenti scolastici di tutte le scuole di ordine e grado della Sardegna

Siamo insegnanti di ruolo e precari e faremo disubbidienza civile quando ci verrà imposto di cantare e di insegnare l’inno di Mameli ai nostri ragazzi.

Riteniamo infatti intollerabile che mentre si impoveriscono le risorse della scuola pubblica, si finanziano quelle private, si propongono riforme mirate a depotenziare la legge 104, si pongono i docenti alla mercé di dirigenti-manager, lo stato italiano pensi alle fanfare e agli addobbi sciovinisti.

Le scuole sarde stanno chiudendo o cadendo a pezzi per mancanza di risorse. Il personale docente di ruolo è continuo oggetto di mortificazioni demotivanti e quello precario deve accontentarsi delle briciole e degli avanzi di ore ed è totalmente snervato da un sistema scuola che non gli permette di inserirsi dignitosamente nel mondo del lavoro.

Crediamo che difronte allo smantellamento del sistema dell’istruzione e della ricerca da parte dello stato italiano, i docenti, soprattutto in Sardegna visti i dati, debbano seriamente confrontarsi non solo con la propria dignità professionale, ma anche con il fatto di essere sardi e sarde appartenenti ad una comunità spogliata del diritto allo studio.

Quest’anno infatti sono state cancellate 45 autonomie scolastiche rispetto all’anno scorso. Il totale dei tagli del personale ATA dell’anno scorso è stato di 1819 posti, il più alto di tutte le scuole dello stato italiano. Sempre nella nostra terra, tra il 2008 e il 2011 si sono persi 5.738 posti realizzando in assoluto la seconda percentuale di taglio più elevata in campo statale.

Molti paesi sono stati privati delle loro scuole grazie ai tagli ministeriali che non consideravano l’importanza assoluta del mantenimento delle autonomie scolastiche presso comunità altrimenti condannate a una rapida desertificazione culturale.

Tutto ciò è avvenuto perché il popolo sardo deve subire le politiche scolastiche di uno stato che dedica appena il 4,5% del PIL all’istruzione e alla ricerca contro una media Ocse del 5,7% e che in particolare cancella tutti i diritti fondamentali del sistema scuola della Sardegna, visto come improduttivo e marginale rispetto agli altri.

I risultati sono la catastrofe dell’abbandono scolastico che raggiunge la spaventosa cifra del 32,6% nelle fasce d’età comprese tra i 18 e i 24 anni (tra le più alte in Europa) e l’ancora più inquietante cifra della disoccupazione giovanile, che raggiunge quasi il 50%, la più alta di tutto lo stato italiano.

Lo stesso bulldozer che sta abbattendo il diritto al sapere e alla formazione dei ragazzi sardi e il diritto al lavoro del personale docente e ATA, e che ha sistematicamente ignorato l’esigenza di garantire lo studio e la valorizzazione della cultura, della lingua e della storia sarda, nel tentativo di cancellare nella memoria dei sardi la loro identità di popolo, ora pretende che gli insegnanti sardi diventino marionette propagandistiche. Tutto ciò con l’obiettivo di inculcare un senso di appartenenza nazionale, idealizzato e mitizzato con l’ esaltazione della Roma imperiale, per distrarre i giovani dai problemi veri e concreti che li circondano e che gravano pesantemente sul loro futuro.

Secondo i signori politici che hanno approvato questa legge, dovremmo obbligatoriamente insegnare e addirittura cantare un inno che afferma che “i bimbi d’Italia si chiaman Balilla” e che “siam pronti alla morte” perché “l’Italia chiamò”. Ma noi non faremo nulla di tutto questo, perché abbiamo una dignità e una professionalità da salvaguardare.

Il nuovo attacco al forte senso di identità della nostra gente, iniziato con la scandalosa dichiarazione della Cassazione che il sardo non è una lingua ma un dialetto, ora prosegue col tentativo di utilizzare gli insegnanti sardi per fare retorica patriottarda a scuola.

S.P.

Fotografia di Twentypv. Fonte Flickr
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