"Noi l’anima dell’indipendentismo non la vendiamo a nessuno!" Intervista a Pier Franco Devias, candidato Governatore del FIU

27 Mese de idas 2013
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(IlMinuto) - Cagliari, 27 dicembre - Il 15 Dicembre, a Ottana, è stato presentato il candidato del Fronte Indipendentista Unidu alle Elezioni Regionali del 2 Marzo 2014. La scelta è caduta su Pier Franco Devias, trentanovenne nuorese, laureato in Filosofia all’Università di Sassari e da sempre impegnato nella causa dell’autodeterminazione del popolo sardo. Devias ha risposto ad alcune domande sul Fronte e sul suo Programma:

Nel suo intervento del 15 Dicembre, lei parla di accettazione dell’Indipendentismo come condizione imprescindibile per l’adesione al Fronte e ai suoi obiettivi. In breve, cosa dobbiamo intendere per “Indipendentismo” e come nasce il Fronte Indipendentista Unidu ?

Per indipendentismo dobbiamo intendere quel vasto progetto, che viene da lontano e che ha grandi prospettive, che è sostanzialmente l’unica soluzione possibile per ciò che, da oltre un secolo, viene definita come “Questione Sarda”.
La “Questione Sarda” non è altro che la continua, lacerante manifestazione di una incompatibilità tra uno Stato dominatore e un popolo che non accetta di essere dominato, uno scontro tra culture che resta insanabile fino a quando vi è una cultura che pretende di definire l’altra come “sub-cultura”, una relazione economica di tipo coloniale, dei rapporti sociali intrisi di latente razzismo nei confronti dei dominati e specialmente dominati non domi, una concezione giuridica che porta la legge giovane, ingiusta ed inesperta del dominatore a considerare “delinquenza” una legge antica, profondamente incarnata nel popolo e sperimentata in secoli di consuetudine. Parliamo fondamentalmente dell’insofferenza di una nazione ad essere soggiogata allo straniero e della necessità storica e politica di questa nazione di volersi autodeterminare. E’ dal complesso e multiforme scontro Sardigna/Italia che nasce l’indipendentismo sardo moderno, ogni altra lettura è solo una coperta troppo corta che cerca disperatamente di nascondere una concezione neo-autonomistica e conciliazionista di questo scontro. Il Fronte nasce dalla necessità di portare avanti una lotta di liberazione che ponga fine alla cosiddetta “Questione sarda”, che riporti il popolo sardo a divenire soggetto della propria storia e del proprio avvenire. Il Fronte non ha fatto altro che tenere in mano la bandiera della lotta d’indipendenza nel momento in cui alcuni pensavano di gettarla nel fango della resa e del collaborazionismo per meri interessi personali. Qualcuno ha chiamato questi interessi “patti col diavolo finalizzati a far crescere l’indipendentismo”…
Noi sappiamo che il diavolo chiede l’anima come controparte per i propri patti.
Noi l’anima dell’indipendentismo non la vendiamo a nessuno!

Cito un passaggio del suo discorso: “Noi dobbiamo costruire il nostro futuro con le nostre mani e sui nostri interessi” e, ancora, “Dobbiamo sviluppare un apparato industriale che sia compatibile con il nostro territorio”. Senza l’apporto della media e grande imprenditoria italiana e/o straniera, quali strade occorre percorrere per concretizzare questo proposito?

L’apporto dell’imprenditoria straniera si configura essenzialmente come mero saccheggio fino a quando non vengono varate ed applicate delle misure urgenti volte a controllare e orientare la sua azione. In sardo diciamo “Fintzas su poleddu si ghettat a su gardu modde!”, indicando il fatto che finché tu consentirai ad un im-prenditore di venire qui, fare ciò che vuole, finanziarlo e lasciarlo andare via impunemente dopo aver licenziato tutti e inquinato il territorio, allora non avrai altro che questo tipo di imprenditoria nella tua lista di “possibili investitori”. Se tu imponi in maniera ferrea delle misure che obbligano gli imprenditori stranieri a rispettare patti, versare cauzioni per eventuale inquinamento (e non sperare che paghino la bonifica a danno fatto), se per poter avere sostegno li obblighi a produrre, se li vincoli al fatto che i macchinari finanziati sono della Regione che li ha comprati e non dell’imprenditore che chiude e se li rivende all’asta, allora in Sardigna non arriveranno più una vasta categoria di rapinatori che oggi vengono chiamati “investitori” e al posto loro arriveranno una lunga schiera di imprenditori interessati a fare impresa produttiva e rispettosa delle regole e del posto in cui lavorano.
Questa premessa solo per dire che noi non vogliamo costruire un muro davanti all’imprenditoria straniera: vogliamo impedire ai pirati di venire a saccheggiare la nostra terra. Detto questo, rimarco che noi dobbiamo ricostruire un apparato industriale basato sui nostri interessi e sulle nostre esigenze, un’industria della trasformazione che riparta dai prodotti della terra, che potenzi il mercato delle nostre materie prime e delle nostre eccellenze agroalimentari, conquistando tutto l’Occidente con la ricetta del “Prodotto unico al mondo fatto con diecimila anni di esperienza alle spalle”. Non sono tanti in Europa a poter avere queste peculiarità: perché non industrializzare questa enorme potenzialità? L’ha capito chi ha riscoperto la qualità dei prodotti sardi, ha portato la scienza e la tecnologia al servizio dell’eccellenza e gli ha trovato un posto nel mercato internazionale, dal guttiau ai vini, alla lana di pecora sarda come isolante…

Lei parla anche di abbattimento della grande distribuzione per lasciare spazio ai produttori locali e dell’introduzione di un marchio di garanzia che salvaguardi l’artigianato sardo. Ma è grazie alla grande distribuzione che la maggioranza dei cittadini riesce a fare la spesa; sono in pochi a potersi permettere un prodotto di qualità, che ha un costo non indifferente per chi percepisce uno stipendio medio. Come ovviare a questo problema?

I punti sulla Grande Distribuzione e quello sull’Artigianato presenti nel nostro programma sono due punti differenti e vanno trattati differentemente. Nel momento in cui vengono messi in relazione, citando il marchio di garanzia artigianale e la Grande Distribuzione non posso che far notare che ognuno di noi, quando va a visitare uno dei posti più belli e caratteristici del mondo, vorrebbe tornare a casa e portare ai propri cari un oggetto di artigianato tipico e non un oggetto che poi trova uguale nel supermercato sotto casa e spacciato come tipico e originale. La televisione italiana ci bombarda di messaggi su quanto è scandaloso che nei supermercati tedeschi si venda un finto Parmigiano fatto passare per italiano… mentre si protegge senza batter ciglio la produzione di resorjas fatte passare per sarde e prodotte in Italia, mentre si lascia che il turista inglese regali galantemente alla propria moglie una “vera fede artigianale sarda” fatta a Taiwan. La logica del mercato globale e quella del prodotto autentico e di qualità sono quasi sempre antitetiche. Noi vogliamo difendere il lavoro del vero artigiano e anche il suo cliente, assicurando con un marchio garantito la genuinità di chi vende e la certezza per chi compra.
La questione della maggioranza dei cittadini che riesce a comprare grazie alla grande distribuzione è in gran parte vera, ma resta vera solo per il fatto che hanno impoverito migliaia di persone fino al punto che per poter sopravvivere sono costrette a poter comprare esclusivamente nei centri della grande distribuzione, dovendo trascurare la qualità e la provenienza di ciò che comprano.
Hanno abbattuto il piccolo commercio facendo credere che ciò avrebbe significato un abbattimento dei prezzi. Per ora sembra che sia così, ma se domani dovessero cambiare i prezzi? Dove andreste a fare la spesa una volta che hanno chiuso tutti gli altri? Capite l’inganno? E’ come quando ci dicevano che se al distributore ci servivamo da soli avremmo risparmiato: ci hanno abituato a servirci da soli in cambio di due centesimi di risparmio, e così hanno avuto l’occasione di licenziare i dipendenti… adesso ci serviamo da soli con i prezzi saliti alle stelle!
La soluzione a tutto ciò consiste in una vasta riorganizzazione del nostro Paese, regolamentando drasticamente lo strapotere dei centri della grande distribuzione, ricostituendo un tessuto economico produttivo che risollevi le condizioni economiche dei cittadini sardi e di conseguenza li metta nelle condizioni di potersi permettere nuovamente di acquistare cibi genuini, controllati, sardi, all’interno di quello che intendiamo ricostruire: un gigantesco apparato naturale della grande distribuzione, esteso capillarmente nei territori e formato da decine di migliaia di esercizi commerciali che vendono prodotti garantiti. In questo modo si crea lavoro e si mangia sano.

Un tema a voi molto caro è quello della L. n°482, che prevede il riconoscimento del Sardo come lingua. Voi proponete l’istituzione del bilinguismo in Sardegna e di un “punteggio di residenza” per gli insegnanti sardi, nonché di programmi di formazione a livello delle Scuole Medie Inferiori e Superiori. Pensa che sia un incentivo per trattenere gli studenti universitari in Sardegna? Perché?

Non è un incentivo per tenere gli studenti universitari in Sardigna, è un incentivo per tenere i Sardi in Sardigna e per far rinascere una lingua che l’Italia ha cercato di soffocare in ogni modo per oltre un secolo. In una società bilingue i sardofoni saranno avvantaggiati, perciò questo porterà tutti a imparare il sardo perché è conveniente, innescando un forte processo virtuoso che consentirà a tanti di lavorare proprio sull’insegnamento del sardo, sull’uso del sardo, sulla risardizzazione di una società italianizzata, nelle riviste, nelle insegne dei negozi, nella cinematografia, nella segnaletica sui posti di lavoro, nella letteratura, nei giochi per bambini, nella radio, nella televisione… Risardizzeremo la Sardigna dando occupazione in ogni campo, costruendo una classe intellettuale sarda e sardofona di alta qualità. Ovviamente parliamo di sardofonia e non di questione etnica: chiunque può venire nella nostra terra, sardizzarsi, imparare a parlare la nostra lingua, diventare parte integrante della nostra nazione. Ma senza conoscere almeno le nozioni base della nostra lingua sarà sempre più difficile trovare lavoro in Sardigna: voi trovereste un posto nella scuola o nella televisione francese senza capire una parola di francese?

Un punto importante del Programma è quello legato al turismo. È prevista una tassa di soggiorno per i mesi estivi e destinata ai turisti per le spese di gestione e manutenzione del territorio. Non pensa che questo proposito potrebbe rivelarsi controproducente allorché i turisti percepissero questa tassa come un’ulteriore richiesta di soldi per una vacanza?

I turisti che vengono in Sardigna sanno benissimo che l’impoverimento del loro portafoglio è dato innanzitutto dalle rotte marittime gestite dalle compagnie di navigazione italiane (con sede legale in Italia). In secondo luogo il loro portafoglio è aggredito dai prezzi delle strutture turistiche in cui passano le vacanze, strutture molto spesso gestite da imprese italiane con sede legale in Italia. Quando poi parcheggiano la macchina, le multinazionali, generalmente spagnole, appaltatrici dei parcheggi costruiti con i nostri soldi, svuotano un altro po’ di soldi dai loro portafogli. Infine vanno a fare le loro compere nei centri della Grande Distribuzione, comprando prodotti italiani in Centri che hanno la sede legale in Italia. Alla fine di tutto questo dirottamento di soldi fuori dalla Sardigna vanno gratuitamente a fare il bagno nei nostri splendidi mari, recuperando abbondanti quantità di ricci da gustare sotto il sole più bello del mondo. Non credo che protesterebbero se dovessero lasciare un euro al giorno in cambio di una buona viabilità, guide archeologiche e naturalistiche, pulizia del territorio e servizi turistici gestiti da cooperative di giovani sardi. In tutta Europa, da Londra a Firenze, a Venezia a Roma si pagano pesantissime tasse di soggiorno e nessuno protesta. Sebbene spesso in queste città si vada per la necessità di curarsi e non per la scelta di divertirsi.

Altro punto fondamentale del vostro Programma è quello che riguarda i trasporti. Può spiegare il punto di vista del Fronte a tal proposito?

Se parliamo dei trasporti da e per la Sardigna, come ho già detto più volte, è urgente spezzare il monopolio, dobbiamo obbligare come prima cosa le compagnie di navigazione a fare delle tariffe uniche per i residenti in Sardigna e che non possano mai essere superiori a quelle dei non residenti. Non dobbiamo mai più trovarci davanti alle situazioni scandalose, ripetutesi più volte, in cui i non residenti usufruivano di tariffe promozionali e sconti eccezionali che erano inferiori a quelle dei residenti: capitava che essere residente in Sardigna era economicamente sconveniente. I residenti in Sardigna hanno necessità di spostarsi per tanti motivi (salute, lavoro, studio ecc), non possono trovarsi davanti al paradosso che per fare una visita specialistica o per dare un esame universitario in Italia a luglio si deve pagare un biglietto da Alta Stagione! Vogliamo che la nostra tariffa per il mare sia calcolata sull’equivalente di quella ferroviaria o autostradale, dal momento che questo dovrebbe essere il concetto di continuità territoriale.
Per quanto riguarda le compagnie aeree vogliamo ricontrattare a nostro vantaggio i rapporti con le compagnie low cost, svincolati dalle prerogative italiane. Noi per spostarci da qui abbiamo due sole possibilità: o prendiamo la nave o l’aereo. L’Italia non può decidere la tariffa in un caso e anche nell’altro! Imponiamo al più presto tariffe vantaggiose per noi, nel frattempo inizieremo a ragionare anche di come dotarci di flotta aerea e navale.
Dobbiamo mettere fine all’embargo italiano sia sullo spostamento degli uomini che sullo spostamento delle merci. Subito.

L’On. Claudia Zuncheddu, leader di Sardigna Libera, scrive in una lettera aperta del 20 Dicembre 2013: “Alle diverse coalizioni indipendentiste, sovraniste, autonomiste e a tutti i movimenti civili di ribellione presenti in Sardegna, il pressante invito a uscire dalle logiche di primogeniture, dai tatticismi, dal tornaconto di gruppo, dall’isolamento in cui vogliono relegarci. Fare tutti un passo indietro significa acquisire maggiore forza per andare avanti tutti uniti con le nostre diversità. Se avremo la capacità di fare tutto ciò, il Popolo sardo acquisirà più libertà, autorevolezza e benessere e la Sardegna vincerà”. Vuole rispondere?

Brevemente. Sugli inviti ad uscire da “primogeniture” rispondo che la nostra primogenitura è data dal popolo indipendentista che si è riunito a partire da Ghilarza e ha dato vita in maniera paritaria e democratica al Fronte. Tutte le cariche sono state elette democraticamente, così come tutte le candidature sono state libere per chiunque abbia voluto partecipare a questo grande progetto. Non abbiamo dunque alcuna “primogenitura” da ripudiare, noi.
In quanto a “tatticismi”, “tornaconto di gruppo” e “isolamento”, non sono mali da cui siamo afflitti, visto che siamo popolo nel popolo. Mi parrebbe invece che fino a poco tempo fa l’On. Zuncheddu, cantando le presunte lodi patriottiche sarde della sinistra italiana a cui tanto tiene (e con cui fa Gruppo in regione), manifestasse una evidente propensione a tatticismi e logiche di gruppo. Ma visto che ora lamenta anche isolamento forse questi tatticismi non l’hanno portata molto lontano. Da parte nostra non possiamo che dirle che mentre tesseva quelle lodi noi tessevamo il Fronte, non c’è dunque bisogno di svegliarsi adesso e proporne uno simile: esiste già quello originale.
Le porte del Fronte sono sempre aperte per chi vuole sinceramente e genuinamente portare avanti la lotta d’indipendenza, per chi vuole risollevare le sorti del nostro popolo martoriato, per chi vuole ridare dignità a questa nazione che l’Italia vorrebbe far vivere in ginocchio. Se queste sono le sue aspirazioni, dunque, anche lei - come tutti quelli che hanno questi obiettivi - è la benvenuta, altrimenti faccia la sua strada e vada dove meglio crede.
Bivat s’indipendentzia! Bivat su Fronte!


Tatiana Sedda


Fotografia di Alessio Niccolai
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